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L’articolo intende presentare un nuovo strumento clinico, da utilizzare per la valutazione sia del funzionamento di coppia, che di alcuni aspetti di personalità dei singoli partner: il Disegno dell’Albero di Coppia. Si tratta di una procedura allo stesso tempo interattiva e proiettiva, particolarmente utile nelle prime fasi della consultazione, ma utilizzabile anche nelle fasi più avanzate della terapia o in quelle finali, per valutare in termini qualitativi l’efficacia del trattamento. Dello strumento saranno presentati gli aspetti procedurali, per guidare verso una sua corretta applicazione e verrà fornito uno schema utile al terapeuta per l’interpretazione clinica. Infine, due esempi clinici aiuteranno a comprenderne meglio l’applicazione e in conclusione saranno discussi alcuni spunti per futuri sviluppi di ricerca nell’ambito della terapia con le coppie.
In questo articolo, l’autore esplora diversi strumenti terapeutici volti ad aiutare i pazienti a riconnettersi con la propria creatività per trovare una soluzione più soddisfacente al loro dilemma. Viene analizzato il potere dell’umorismo del terapeuta che, insieme alle storie sistemiche, permettono al terapeuta di usare la propria creatività all’interno del sistema terapeutico, al fine di dare maggiore libertà e speranza ai clienti. Quando il racconto sistemico viene integrato nel testo di una canzone nota riscritta con sensibilità e umorismo sul tema portato dal paziente, il terapeuta crea un’atmosfera giocosa e festosa che sfida anche il paziente a cambiare le sue abitudini autodistruttive. Vengono presentati e discussi due esempi clinici individuali, con particolare focus al mantenimento dell’alleanza terapeutica e al necessario equilibrio tra i rischi di questo tipo di intervento e i benefici che se ne possono trarre.
La questione dell’etica si pone non di rado all’attenzione degli psicoterapeuti. Sono soprattutto i temi che concernono l’etica della relazione terapeutica a suscitare un vivo dibattito nel settore, mentre meno esplorate, in proporzione, sembrano le questioni che riguardano più in generale l’etica delle relazioni, nei mondi in cui viviamo, e come, rispetto a tali questioni, si posizioni la comunità dei terapeuti. La psicoterapia è essa stessa una relazione, una relazione di cura la cui efficacia dipende in larga misura dalla qualità dei rapporti che si generano nel suo processo e, soprattutto, dagli effetti che si propagano nella vita di chi chiede aiuto. Quest’ultimo aspetto, da sempre considerato cruciale in ambito sistemico, merita oggi ulteriori approfondimenti, giacché abbiamo sempre più prove di quanto qualsiasi condizione di benessere individuale, o familiare, sia indissolubilmente legata alla qualità delle relazioni, dalle più intime a quelle che hanno a che fare con la partecipazione sociale allargata, sino al contesto più globale del nostro rapporto, come esseri umani, con l’ecologia delle nostre vite.
Solitamente, quando facciamo riferimento alla nostra rete di supporto pensiamo alle persone della nostra vita con cui abbiamo un legame nato all’interno della famiglia, della scuola o del lavoro, o costruito attraverso amicizie o vicinato. Decenni di ricerca hanno dimostrato forti legami tra rapporti sociali e salute, evidenziando che il supporto sociale può attenuare le risposte fisiologiche allo stress – le quali sono rilevanti per la salute – e può essere un importante e positivo componente della capacità di resilienza personale, rappresentando altresì un elemento determinante per riuscire ad affrontare situazioni stressanti a medio e lungo termine, come il corso di una malattia. Il punto di riflessione a cui vogliamo approdare con questo scritto non riguarda l’analisi della nostra rete di sostegno e le sue caratteristiche, bensì la possibilità di elaborare un’auto-osservazione sistematica prima di avvicinarci a coloro da cui ci aspettiamo di essere sostenuti, confortati o incoraggiati.
Digital platforms are transforming pedagogical possibilities and learning processes, challenging traditional relationships with knowledge. One of the points most often overlooked in optimistic and pessimistic discourses about the pedagogical potential of digital platforms is that their use is itself a learning process. Beyond the variety of devices through which they can be accessed and the ways in which they can be used, digital platforms share the common characteristic of renewing the mediation of our relationship with the world. This analysis asks whether these technologies enable greater independence from social determinants and how they are reshaping our understanding of learning towards greater autonomy outside conventional education systems. Through a thematic analysis and a theoretical reflection, the authors explore these complexities and highlight the dual role of 'thumbs and neurons' in developing an operational framework for platform literacy and its evaluation.
Il contributo analizza l’evoluzione delle riflessioni sulla legittimità costituzionale delle misure di prevenzione. Di fronte al silenzio della Costituzione, gli argomenti si sono sviluppati su due piani: quello generale della giustificazione della compatibilità delle misure di prevenzione con l’impianto della Costituzione; quello più specifico relativo a particolari profili di illegittimità di specifici elementi di disciplina. Il bilancio complessivo vede la Corte costituzionale assumere una posizione di cauto conservatorismo a fronte di uno sviluppo della legislazione che potenzia il ricorso alle misure di prevenzione personali e patrimoniali.
Se va al Legislatore il merito di aver dato avvio alla costruzione del volto costituzionale della pena nella fase dell’esecuzione, deve riconoscersi alla Corte costituzionale quello di avere alimentato tale processo, esercitando un controllo significativo sulle scelte legislative valorizzando i principi di rieducazione, di umanità, nonché di proporzionalità e ciò in sinergia con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. A smorzare l’entusiasmo per questo percorso di riconoscimento della dignità del detenuto è la considerazione della prassi, che si colloca ad una distanza siderale dal modello di pena detentiva delineato nella Costituzione.
L’Autore ricostruisce gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in tema di tipologia e misura della pena. Riguardo alla tipologia, particolare attenzione viene dedicata alle sentenze sull’ergastolo, sulle alternative al carcere, sulla pena pecuniaria e sulle pene accessorie. Con riferimento alla misura, oltre agli orientamenti relativi al quantum e al principio di proporzionalità, si esaminano quelli concernenti gli automatismi applicativi che contrastano con l’individualizzazione della pena. L’ultima parte del lavoro è dedicata a considerazioni di fondo e, in particolare, all’evoluzione dei principi in tema di pena e alle problematiche nei rapporti tra i poteri.
Il saggio analizza il modo in cui il controllo di ragionevolezza sulle scelte di criminalizzazione si è affermato e trasformato nel tempo, soprattutto da quando ha iniziato a trovare punti di riferimento nei principi sostanziali del diritto penale. Il dibattito attuale riguarda l’opportunità di strutturare il controllo di ragionevolezza nella forma del giudizio di proporzionalità.
Il contributo propone una definizione del concetto di “mutamento giurisprudenziale”, anche al fine di distinguerlo dai contrasti giurisprudenziali. L’obiettivo, poi, è verificare se l’ordinamento giuridico italiano disponga di strumenti attraverso i quali gestire i mutamenti giurisprudenziali, in accordo ai principi di irretroattività (per i mutamenti sfavorevoli) e di retroattività in mitius (per i mutamenti favorevoli). L’Autrice, dopo un’analisi critica delle principali soluzioni proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ipotizza altresì ricostruzioni alternative, tra le quali una diversa collocazione sistematica dell’art. 5 c.p.
L’irruzione delle fonti sovranazionali e del diritto giurisprudenziale nel diritto penale ha destabilizzato la legalità penale, mettendo in crisi la sua strutturazione legicentrica. Tuttavia, recenti e numerose pronunce della Corte costituzionale stanno ponendo un argine a tale cambiamento, negando l’esistenza di un conflitto tra legalità europea e costituzionale e riaffermando l’incompatibilità con quest’ultima del creazionismo giudiziario in malam partem. Al diritto sovranazionale e alla judge-made law viene così attribuito un ruolo rilevante in materia penale, senza però riconoscer loro il rango di fonti di produzione delle norme incriminatrici, perché il principio di legalità costituzionale, incentrato espressamente sulla riserva di legge, costituisce un principio identitario del nostro ordinamento che non ammette deroghe sfavorevoli.