Seguire la genesi della Figlia di Iorio significa percorrere un lungo spazio della biografia dannunziana. La tragedia ebbe infatti una «gestazione mentale» di oltre vent'anni: da una prima idea, nata sulla suggestione di un'omonima tempera del pittore F.P. Michetti (1881), fino alla stesura definitiva, che si compì nel «dolce tempo» dell'estate a Nettuno, nel 1903. E' questo un punto d'arrivo fondamentale per la produzione dannunziana, che vede compiersi i grandi libri delle Laudi. E proprio tra gli ultimi esperimenti di Maia e Alcyone si colloca la tragedia, assorbendo da tali esperienze poetiche quella apertura verso il mito che, in un complesso percorso parabolico, si sarebbe definitivamente coagulato nel terzo libro delle Laudi. Ambientata nell'Abruzzo atemporale ed arcaico - come vuole l'epigrafe: «In terra d'Abruzzi, or è molt'anni» - la tragedia si intesse dei riti del folklore di quella terra, ma rivisitati e reinterpretati in un'ottica che rimanda agli elementi del mito classico. La lingua, che si sposta nella sua tensione correttoria verso una più netta e definita arcaicità, veste le forme e i modi di una primitività ancestrale.

Raffaella Bertazzoli insegna all'Università di Verona. Ha condotto studi su Verga, D'Annunzio, Imbriani, G.G. Belli, Tarchetti. Svolge anche attività di comparatista con saggi su autori di area inglese e tedesca. E' coautrice del volume Belli oltre frontiera sulla fortuna estera del poeta romano. Ai rapporti tra la cultura germanica e il mondo letterario italiano della seconda metà dell'Ottocento ha dedicato il volume Il mito italiano di Paul Heyse (Verona 1987).